Che cos’è e a cosa serve l’indice di solvibilità

Vuoi sapere cos’è e come si calcola l’indice di solvibilità? Che tu sia uno studente di economia, un aspirante intermediario bancario o finanziario o un semplice appassionato di politica finanziaria, ti trovi nel posto giusto.

In questo articolo, infatti, familiarizzeremo con termini come coefficiente solvibilità e solvency ratio o indici di bilancio. Se non ne hai mai sentito parlare non preoccuparti, ti guideremo passo dopo passo.

Vuoi saperne di più? Molto bene, allora non perdiamo tempo e lanciamoci subito alla scoperta di che cos’è e a cosa serve l’indice di solvibilità e come studiarlo.

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Solvibilità: tutto quello che c’è da sapere

Nei paragrafi che seguono, andremo dunque a capire insieme cos’è l’indice di solvibilità, come ottenerlo, perché è utile e quali sono gli studi utili nel caso in cui volessi approfondire maggiormente la materia e specializzarti in questo settore. Buona lettura.

Definizione di solvibilità

Per comprendere cos’è l’indice di solvibilità, dobbiamo partire dalle basi. Ovvero dalla definizione stessa di solvibilità.

Per fare ciò, prendiamo come riferimento quanto si legge nell’autorevole Dizionario di Economia e Finanza della Treccani. Ecco come questa fonte spiega il significato del termine:

«Capacità di un debitore (sia esso un’impresa, un intermediario finanziario, uno Stato sovrano, un privato cittadino) di restituire i suoi debiti alla scadenza. Nel caso di un operatore finanziario, la solvibilità è particolarmente cruciale, non solo per l’operatore stesso ma anche per il resto del sistema economico. L’eventuale insolvenza di un grande intermediario può infatti avere effetti a catena su altri agenti, determinando ulteriori insolvenze».

Ecco perché la stessa fonte, in merito a indice di solvibilità assicurazioni e banche, aggiunge anche che:

«Proprio a causa di questo potenziale impatto sistemico, le banche e le assicurazioni sono soggette a requisiti patrimoniali: gli accordi internazionali più recenti, al 2012, in quest’area vanno sotto il nome di ‘Solvency II’ (2009) per quello assicurativo e ‘Basilea III’ (2010) per il settore bancario, imponendo agli intermediari un rapporto minimo tra il patrimonio e il totale delle attività.

Ciò dovrebbe garantire un adeguato margine di solvibilità delle istituzioni coinvolte. Eventuali riduzioni di valore dell’attivo si rifletterebbero, nel bilancio di un intermediario, in una decurtazione del patrimonio: i creditori verrebbero così protetti.

La crisi finanziaria ha messo in evidenza la possibilità che anche uno Stato sovrano possa avere gravi problemi di solvibilità, nonostante la sua capacità di imposizione fiscale: esiste un limite (seppure non facilmente quantificabile a priori) alla eventualità di rinviare la tassazione necessaria per finanziare la spesa pubblica».

Tutto chiaro fin qui? Ottimo, allora andiamo avanti spediti.

Coefficiente di solvibilità e patrimonio di vigilanza

Chiarito il concetto di solvibilità, passiamo adesso all’indice o coefficiente. Come riportato da Wikipedia, citando autorevoli fonti di settore:

«Il coefficiente di solvibilità (solvency ratio) è una misura sintetica del grado di patrimonializzazione di un intermediario bancario o finanziario».

coefficiente solvibilitàMa come si calcola? Esso si ottiene dal rapporto percentuale tra il “patrimonio di vigilanza” dell’intermediario e il totale delle “attività ponderate per il rischio” (risk weighted activities, RWA) che si trovano nel bilancio dell’intermediario stesso a una certa data.

A questo punto, però, ti starai probabilmente chiedendo cos’è il patrimonio di vigilanza numeratore del rapporto. Si tratta di un aggregato contabile che può discostarsi significativamente dal patrimonio netto nella sua accezione civilistica. ad esempio, oltre che capitale di rischio (principalmente capitale apportato da soci e utili accantonati) accoglie anche capitale di debito (cioè fondi che sono apportati da non soci, che sono remunerati in misura più o meno predefinita contrattualmente e che non permangono in via indefinita nell’indice di disponibilità dell’intermediario). Da esso sono inoltre dedotte alcune componenti dell’attivo, come l’avviamento.

Attività ponderate per il rischio

Tra le attività ponderate per il rischio che costituiscono il denominatore del rapporto nell’indice di solvibilità, rientrano le azioni dell’intermediario come:

  1. crediti a clientela
  2. titoli obbligazionari o di stato
  3. crediti nei confronti di altre banche
  4. impegni assunti verso altri soggetti

Un esempio dell’ultimo punto può essere l’impegno contrattuale ad erogare una somma ad un cliente al verificarsi di un certo evento.

Tutte queste attività vengono ponderate in funzione della diversa solvibilità delle controparti dell’intermediario. In parole povere, dall’attitudine a rispettare il proprio impegno contrattuale. Secondo lo schema di Basilea 2.

Come si legge ancora su Wikipedia, inoltre:

«Nell’approccio più semplice, alle attività viene assegnata una ponderazione variabile tra 0% e 150% a seconda del rating di cui gode la controparte dell’intermediario; la ponderazione è del 75% per i crediti al dettaglio (praticamente tutti i crediti verso famiglie e piccole imprese), del 100% per i crediti verso altre controparti prive di rating, del 35% per i mutui erogati per l’acquisto di immobili destinati ad essere abitati o dati in locazione dal mutuatario».

Per concludere il quadro e riassumere come calcolare l’indice di solvibilità, possiamo dire che il livello minimo del coefficiente che deve essere rispettato dagli intermediari è dell’8% e si ricava da: Patrimonio di vigilanza (Pvig)/Attività ponderate per il rischio (APR).

I master Unicusano in ambito economico e finanziario

Se vuoi approfondire ulteriormente il tema relativo all’indice di solvibilità, perché vuoi specializzarti in questo settore, un Master dell’area Economico – Giuridica è ciò che fa decisamente al caso tuo.

Fortunatamente Unicusano rappresenta una vera e propria eccellenza in questo settore. La sua ampia e variegata offerta formativa, infatti, prevedere master universitari come:

  1. Banca e Finanza. Si tratta di un Master di II livello, avente come obiettivo quello di formare figure che abbiano le capacità di fronteggiare le trasformazioni che investono il settore bancario e finanziario;
  2. Economia e diritto dei mercati finanziari. E con questo passiamo ai master di I livello. Se vuoi svolgere l’attività in ambito bancario, assicurativo o dell’intermediazione finanziaria, ma anche per fondi comuni di investimento o pensionistici, soggetti quotati oppure società di revisione e, perché no, Autorità di Vigilanza, questo è uno Master più spendibili in assoluto per coltivare le tue ambizioni;
  3. Data Analyst. Volto a formare una delle figure professionali più richieste in assoluto. Considerata dagli esperti la professione più interessante del secolo. Tra elementi di economia aziendale, tecniche di business intelligence, statistica e analisi dei data, questo Master può fornirti competenze tali da renderti qualificato per un lavoro che determinante per tante professioni;
  4. Redazione del bilancio d’esercizio – Regole civilistiche, principi contabili e disciplina fiscale. In grado di trasmetterti una conoscenza esaustiva della disciplina civilistica del Bilancio d’Esercizio, concentrandosi in particolar modo sui principi contabili nazionali.

Conclusioni

Quelli che ti abbiamo presentato nel paragrafo precedente sono solo alcuni dei corsi che possono avere a che fare con l’indice di solvibilità. Per consultare la lista completa, e visionare le schede complete di ogni singolo corso, ti consigliamo di visitare l’area dedicata alle lauree e ai master del portale Unicusano.it.

E con questo, almeno per il momento, è tutto. La nostra guida sull’indice di solvibilità ora è davvero completa ed esaustiva. Dal significato del termine a come calcolare il coefficiente, per concludere con gli studi di economia e finanza che potrebbero fare al caso tuo.

A questo punto non ci rimane che augurarti buono studio.


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